Disegno - Primordi

Una breve introduzione al disegno.

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Una breve introduzione sui miei "primordi" artistici, dato che mi ricordo di aver sempre disegnato e non posso stabilire con certezza quando ho iniziato.

Essendo nato i primi di gennaio, i miei genitori decisero di farmi "saltare" la prima elementare e, attraverso un piccolo esame - di cui ricordo solo il luogo -, passai in seconda.

La "primina" fu presa in considerazione in quanto notarono - così mi dicevano i miei genitori - la mia precoce attitudine ad imparare. Forse perchè già mia madre mi educava a leggere, forse perchè mio padre, insegnante di scuola media, vedeva delle potenzialità in me, sta di fatto che io sapevo leggere, scrivere e far di conto. Questo ne sono sicuro, e mi ricordo che i primi giorni di seconda elementare ero "disattento" secondo quello che dicevano le maestre. Mi mettevo a disegnare, o non seguivo, mentre gli altri dovevano ancora imparare a leggere e a scrivere, io già sapevo tutto e mi annoiavo a guardar cose che conoscevo.

Per quanto riguarda il disegno posso solo dire che già disegnavo. Me ne ricordo qualcosa all'asilo, mentre gli altri facevano scarabocchi io invece disegnavo oggetti molto più complessi. E mi meravigliai dopo molti anni, quando rividi dei disegni fatti da me in quei periodi. Disegno a matita, conservati da mia madre, e che risalgono a prima e poco dopo le elementari.

A scuola media, con l'Educazione Artistica - negli anni Novanta del secolo scorso si chiamava così - mi ricordo che studiavo la Storia dell'Arte, che la ritenevo affascinante ma, sopratutto, mi affascinavano le tecniche di disegno. Applicavo facilmente più "cose", imparavo celermente e mi piaceva modellare i materiali, sperimentare con i colori e le tecniche. Mi ricordo vagamente una sorta di mosaico con pezzettini di terracotta colorata - non usavamo il vetro per ovvi motivi di sicurezza - e mi piaceva il "Pongo" o il "Das®", e anche una sorta di gomma verde - di cui non ricordo il nome, forse Linoleum® - che aveva la forma di un cartoncino di un certo spessore e doveva essere successivamente “scolpito” per generare un negativo, da cui bastava colorarlo passandoci un rullo impregnato e girarlo successivamente nel foglio per ottenere dei disegni. Una sorta di dagherrotipo (cos'è?) anche se detto impropriamente o stampa che poteva essere utilizzata indefinitivamente.

In terza media ci fu una piccola svolta artistica.

Era l'anno scolastico 1990/1991 ed io mi accingevo ad imparare il più possibile per affrontare il mio primo vero esame, anche se tre anni prima avevo svolto quelli delle elementari - che non erano stati una passeggiata perchè fino al quarto anno avevo avuto una maestra molto rigida e severa che rendeva tutto più difficile - e quindi, per caso, l'insegnante di Educazione Artistica di scuola media, una signorina calabrese scura, con i capelli e occhi neri corvini, un aspetto minuto che nascondeva una tempra d’acciaio, sicuramente comprendendo le mie capacità mi consigliò di provare a fare un disegno su tela con i colori ad olio. Non ricordo esattamente cosa mi disse, ma mi lasciò libero di interpretare un disegno, dando sfogo alla mia immaginazione.

Feci il mio primo quadro - tutt'ora conservato a casa - che raffigurava un bosco, non troppo fitto, luminoso, con diversi alberi e una specie di strada sterrata o sentiero dall'andamento molto irregolare, che si perdeva in fondo. C'erano anche arbusti tra gli alberi, e un cielo leggermente nuvoloso. Ombre e luci sulle fronde degli alberi, i quali quest'ultimi sembravano allungarsi in basso sulla terra con delle sfumature nocciola. Era un mio modo di rappresentare le ombre, non troppo nette. Le foglie verdi chiare e scure, i tronchi marrone chiaro e scuro, alcuni con linee verticali per simulare le cortecce e i nodi rotondeggianti. Il formato del quadro non era grande, forse un 50x60, un po' atipico per fare un paesaggio per il quale è consigliabile un 70x50. Non ricordo bene le dimensioni ...

Non so se mi immaginavo un bosco fatato ma l'ho riguardato diverse volte negli anni passati e, pur notando delle piccole discrepanze sulla tecnica ed altre cose, non mi meraviglio se l'insegnante mi fece partecipare ad una "Mostra Estemporanea di Pittura" indetta dall'allora Scuola Media Statale "Vincenzo Pipitone" di Marsala (TP).

La scuola è molto famosa, non me ne vogliano gli altri istituti e non lo dico perchè l'ho frequentata, ma rappresentava la migliore scuola secondaria inferiore della città.

Negli anni Novanta del secolo scorso, se non ricordo male, l'iscrizione agli istituti di scuola media avveniva in base alla territorialità o al quartiere di appartenenza e, fortunatamente, io facevo parte della zona Centro Storico e quindi di diritto mi potevo iscrivere là. La scelta della classe era casuale, anche se molti preferivano alcune sezioni anzichè altre.

C'è sempre stata una sorta di lotta di classe, classismo, nella città di Marsala, e molto probabilmente è più evidente che in altre realtà. Non so il perchè e sinceramente allora mi meravigliavo, non comprendevo, invece ora non lo accetto.

Perchè il dimostrare agli altri, amici e parenti, di vantarsi che i propri figli erano iscritti a tal scuola, in tale classe? Semplicemente perché gli altri dovevano sapere che i propri filgi frequentavano altri ragazzi della stessa “pasta”. Ma la pasta era un’altra. Non è solo la farina che determina l’impasto, ma anche il lievito. E, Totò aveva ragione, “signori si nasce, e io lo nacqui!" nell'omonima fortunata commedia (e non si diventa). Era come se i genitori pensassero più a chi frequentava chi, che effettivamente se gli insegnanti erano bravi o meno. Era più importante il passaparola, così potevano presentarsi agli insegnanti come amici degli amici ed avere un trattamento di favore. Forse sapevano che i loro figli non erano bravi a scuola e avevano bisogno d’aiuto e dimostrare le loro bravure infondate! Quindi, alcune sezioni "in" o "vip" erano già state occupate, non so il perchè e non conosco quali attributi bisognava avere, ma indubbiamente le amicizie e i favori già erano preponderanti.

A me e sopratutto a mio padre non interessava: l'unica cosa era che, essendo stato inserito in una classe con lettere più "in fondo" in base all'alfabeto (ero iscritto alla Classe I - lettera i maiuscola), era più probabile che avessi avuto insegnanti diversi in diversi anni. E infatti, nei tre anni di scuola media, purtroppo, ogni anno cambiavano diversi insegnanti di diverse materie. Sopratutto italiano, ma anche educazione tecnica ed artistica. Altro non ricordo bene, ma comunque ho avuto la fortuna di avere avuto insegnanti bravissimi, e chi se ne andava non poteva essere rimpianto, anche se a me dispiaceva. Mi ricordo in particolare l'insegnante di matematica che era sempre la stessa e, da una parte fu un bene ma dall'altra in determinate circostanze era stata una vera impresa. Era molto severa, si faceva rispettare ed ogni tanto capitava pure a me di non essere "capito" in alcune situazioni.

Tralasciando piccoli screzi con altri compagni di classe o piccole incomprensioni con qualche insegnante, alla fine c'erano i classici "fighetti" e "fighette" di famiglie che pensavano solo alle frequentazioni dei loro figli, i quali erano tutti ammassati tra di loro durante le ricreazioni, peggio delle mosche in un banchetto andato a male da diverse settimane. Non dirò che fossero come le api in alveare, perchè ne farei un complimento.

Nella mia classe, il primo anno di scuola media, c'erano alcune compagne che non si trovavano bene, perchè provenivano da famiglie agiate e non potevano certo “mischiarsi” con altri che provenivano da classi sociali più umili. Al secondo anno di classe cambiarono “lettera” e da allora non le rividi più, e neanche si avvicinavano in classe, nella loro vecchia classe, né si fecero più vedere. Io mi ricordo che ogni tanto le cercavo, ma loro facevano finta di non conoscermi.

Nella mia classe c'erano anche figli e figlie di operai o semplici manovali, di famiglie monoreddito o in difficoltà economiche, ma c'erano anche un figlio di un gioielliere e di un'insegnante che è rimasto fino alla terza media, così c'erano anche figli e figlie di classi medio-basse che dimostravo di essere molto più educati di altri che, invece, erano maleducati e viziati. Io potevo essere di una "classe media", se non il fatto che mia madre era una casalinga. Quando era ragazzina non aveva completato gli studi, fermandosi al terzo anno di magistrale perché poi aveva dovuto abbandonare per altri motivi, ma ciò era considerato successivamente una sorta di "livello inferiore". Ma mia madre sa leggere e scrivere, sa pure disegnare abbastanza bene, sa contare, sa le tabelline a memoria, sa farei calcoli che ora in scuola media neanche si imparano, ed è stata lei ad impararmi fin da piccolo tutto quello che lei sapeva. Io ero piccolo, l’ho già spiegato prima.

Le persone con questo modo di pensare non fanno altro che isolarsi tra di loro, ovvero considerarsi dei privilegiati e immaginarsi in un mondo fatto solamente di materialità. Quindi avremo delle classi sociali che si sentiranno dominanti, e classi di livello inferiore che dovrebbero essere sottomesse perchè i loro figli provengono da genitori poco istruiti o che hanno dei lavori meno appaganti e remunerativi. Inoltre, essendo la città di Marsala molto ampia - ci sono le cosiddette contrade ovvero agglomerati urbani in parte isolati in parte attigui ad altri - in cui le comunità sono abbastanza uniformate. Zone adibite a residenziali, con villette poste in zone più alte che possono così vantarsi di vedere il panorama delle Isole Egadi e la Riserva Naturale Orientata Isole dello Stagnone, e zone con case più anonime, i cui abitanti prima erano perlopiù agricoltori e piccoli commercianti, e ora magari luoghi in cui i figli laureati sono "diventati qualcuno" semplicemente laureandosi.

La differenza tra marsalese di città e marsalese di campagna era pure evidente, ma qui non voglio dilungarmi. Io, solitamente, in casa parlo un dialetto italianizzato, non troppo stretto, ero più “di città” ma ciò non voleva dire nulla, e forse potevo essere un "vip" ma non l'ho mai pensato e non l'ho mai voluto essere. Non ho mai concepito una lotta di classe unicamente la differenza di reddito o scolarità, perchè molto spesso un grado d'istruzione superiore non corrisponde ad un maggior grado d'intelligenza, sopratutto, di cultura. Perchè la cultura la si costruisce pian piano, leggendo, ascoltando musica, facendo altre cose. Avere libri, musica, e qualsiasi cosa che ci porta ad un miglioramento personale, che ci fa acquisire conoscenza, è cultura. Gli hobby indubbiamente, e molti non avevano neanche un quarto dei libri che io posseggo, e molti non avevano nessun passatempo e alcuni non sapevano nemmeno cosa fosse un disco musicale o un Personal Computer mentre io, e non è per vantarmi, ne posseggo un bel po' di cose.

Ho avuto la fortuna di avere un Commodore® 64 (cos’è?), quella specie di tastiera che si collegava ad un monitor CRT (a tubi catodici) e che, con un mangianastri o un lettore floppy, si avviavano programmi e giochi. Quel Commodore® 64 era la seconda versione, tutta di colore nocciola chiaro compresi i tasti, e leggermente più grande e meno spessa della versione precedente. Mio padre me l'aveva comprata con un po' di sacrifici verso gli inizi degli anni Novanta. Da lì, saltuariamente scrivevo in BASIC da autodidatta e, comprandomi delle riviste specializzate in edicola, mi esercitavo. Anche se l'altro linguaggio, il DOS, era un pò differente e certe volte incompatibile, me ne accorgevo subito. Quando, saltuariamente, andavo da un mio pro cugino che, essendo figlio di un medico e di una insegnante, poteva permettersi un Personal Computer tutto suo, riuscivo a spiegargli come funzionava un Computer. Era un Olivetti® PCS-86, (cos'è?) me lo ricordo come ora! Il padre aveva un altro modello, mi sembra pure Olivetti, e utilizzava anche un IBM® che stava nello studio medico fuori casa. Io istruivo il mio cuginetto sui primordi di DOS, e purtroppo ora non ricordo quasi più nulla perchè l’ho abbandonato quando mi sono iscritto alle superiori.

Tralasciando questo, andiamo alla fine dell'anno scolastico 1990/1991 che, con mia meraviglia, l'insegnante di Artistica mi fece partecipare a quella mostra di disegno riservata agli studenti di Terza Media. Quelli scelti, tra cui ovviamente io, andavamo con gli autobus scolastici in una villa o resort di periferia. In realtà era una struttura molto grande, recintata da un muro molto alto e diversi cancelli d’accesso, che era stata da poco ristrutturata, ed era famosissima anche fuori provincia. Aveva diversi magazzini, cambiati nella destinazione d’uso e adibiti a piscina al chiuso o a sala ricevimenti e così via. Aveva anche un paio di campi da tennis, un campo di calcetto e un campo di basket. La “Villa Damiani” aveva bisogno di essere conosciuta, e quindi era uno sponsor per tale Mostra di pittura.

Liberamente ci disponevamo con i nostri cavalletti e tutte le attrezzature, come pennelli e colori, e una volta trovato un mio posto - che non necessariamente era vicino agli altri - iniziavo a disegnare e poi a dipingere.

Il tempo era poco, e ci andammo qualche altra volta.

Mi ricordo che alcuni neanche avevano finito il quadro, ma non ricordo se era possibile portarsi il lavoro a casa, perchè io non ne avevo bisogno. A me bastava essere là, guardare e modificarlo in base alle mie sensazioni. Alla fine del lavoro, rientrando a scuola lasciavo tutto in un'aula.

Arrivò il giorno, e forse prima, ma non ricordo, mi era arrivata la notizia a scuola che avevo vinto il primo premio, e dovevo presentarmi alla cerimonia di premiazione. Non ricordo altro.

Quel giorno, uno dei più importanti in assoluto, mi ricordo poco perchè ero euforico, timidissimo e poca voglia di parlare di come avessi fatto a vincere. Semplicemente avevo fatto un quadro, ma UN QUADRO che a tredici anni non è che se ne vedono molti, o forse mai visti. Non è una vanteria, ma è la consapevolezza che ho una fotografia sul palco di quando il preside Dott. Gaspare Li Causi mi premiava.

Lui, con gli occhiali da sole, un pò più bassino di me - io che non ero certo uno spilungone - io vestito estivo, con jeans blu un pò corti perchè iniziavano a starmi stretti, un paio di scarpe di camoscio e una camicia chiara a righe. Completavano il tutto una giacca di jeans chiaro, leggera ma che pesava come un macigno in quel dì di giugno, caldo, e guardavo la gente che era in basso. Mi sembravano piccoli. Molti stavano seduti, altri in piedi, mi sembravano tanti, tantissimi, ma forse era una mia sensazione perchè dopo la premiazione, mi sembrava che si fossero dileguati. Può essere che i genitori dei ragazzini aspettavano che i loro figli vincessero, e io, perfetto sconosciuto, figlio di un professore che insegnava nelle campagne, che sembravo più Groucho Marx con i capelli di colore rame, e baffetti spelacchiati, e un occhiale rotondeggiante, sembravo davvero un pittore alternativo, un pò forse Magritte. Ma invece ero un "Piccolo Monet".

O “Manet”, non ricordo …

 

Primo premio 1991

N.B. Sui link 

  1. Treccani -> https://www.treccani.it/ per il "dagherrotipo" e "Daguerre", "CommodoreⓇ 64" e "Olivetti PCS 86".
  2. Wikipedia -> https://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale
  3. Museo del calcolatore "Laura Tellini" -> http://museo.dagomari.prato.it/index.php per "Olivetti PCS 86"

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